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Commento di Luca Martini
Signore e signori, chapeau! Siamo al cospetto di un capolavoro assoluto, di uno dei più grandi dischi della storia del rock progressive e del rock in generale. Stiamo parlando di "John Barleycorn Must Die" dei Traffic, grande gruppo inglese, meno noto dei colleghi Genesis e Jethro Tull, ma altrettanto superbo, capitanato dal genio cantante e polistrumentista Steve Winwood.
L'attacco del disco è davvero folgorante: "Glad", intatti, è un pezzo interamente strumentale di quasi sette minuti, nel quale il pianoforte dà il la, segnando una semplice e frizzante linea pianistica, ed invitando ad uno ad uno tutti gli altri strumenti ad unirsi, mentre gli stessi vanno a doppiare, a dialogare o ad incalzare lo strumento solista.
In "Freedom Rider", oltre alla possente e nera voce di Winwood, la parte da padrone la fa il meraviglioso flauto (con echi di Jethro Tull) ed il sassofono, entrambi suonati da Chris Wood: gli strumenti sono amalgamati in maniera perfetta, e supportati da una ritmica incalzante e mai banale.
Tra modernità, sperimentazione, prove musicali ardite
e tempi precorsi (basti sentire la terza canzone del
disco, “Empty Pages” per capirne l’attualità e la modernità)
si giunge a quella che probabilmente è la vetta assoluta
del lavoro, e che dà, in parte, il titolo all’album:
"John Barleycorn". La voce di Winwood esplode in tutta
la sua grazia, suggestione e grandezza (si apprezzi
il lavoro di controcanto fatto nella seconda parte del
brano, memore di certe tecniche vocalii di Simon e Garfunkel).
Il brano ricorda molto nelle atmosfere i migliori Jethro
Tull (si pensi a "Thick as a brick") e ai Genesis (si
pensi a "Selling england by the pound"). A parere
di chi scrive, questo è uno dei più suggestivi e magnetici
pezzi mai scritti, facendo rivivere meravigliose atmosfere
folk inglesi e tradizioni canore ancestrali, tra ipnotici
assolo di flauto e ossessiva ripetizione di temi vocali.
Una vera delizia.
Chiudono il disco un originale e splendido blues "Every Mother's Son", e la toccante e romantica ballata "Sittin' Here Thinkin' Of My Love", brano di genere diverso rispetto ai precedenti, più dolce e rassicurante, ma sempre piacevole, che permette a Winwood di confermare (se mai ve ne fosse bisogno) la sua grande abilità canora. Al termine, una "Backstage & Introduction" in cui si avvertono soltanto rumori di sottofondo di porte che si aprono e si chiudono, e uno strano dialogo rotto da battiti di mani.
Nella ristampa su cd, due bonus tracks live: "Who knows what tomorrow may bring" e "Glad", inutile dirlo, sempre all’altezza del resto del lavoro. Una pietra miliare da possedere.
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