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Primo disco di questo
gruppo genovese che avrà vita relativamente breve.
Il sound di questo primo lavoro è un misto tra jazz
e progressive (alla lavorazione
partecipano alcuni ospiti
illustri tra i quali Vittorio De Scalzi dei New
Trolls, Leonardo Lagorio e Ciro Perrino dei Celeste),
nettamente schierato dalla parte della ricerca, con
un taglio leggermente goliardico e di presa in giro
di un certo tipo di musica colta, con rimandi facilmente
riconducibili a dei maestri del genere quali i Gong.
Altro gruppo di culto dei Picchio Dal Pozzo sono sicuramente
i Soft Machine, al cui leader viene dedicato l'intero
lavoro, nella inverosimile italianizzazione di Roberto
Viatti ossia Robert
Wyatt.
 
Dopo l'introduzione ("Merta") mista tra chitarre acustiche, moog e carillon,
parte "Cocomelastico" che delinea subito la linea stilistica del lavoro, si potrebbe
dire quasi a metà strada tra Dedalus e Perigeo.
Arriva subito lo stacco goliardico che contrappone un Fender Rhodes su ritmo
marcatemente (soft)jazz a gargarismi e solfeggi de (se la memoria
d'infanzia non m'inganna…) "Quante belle figlie ha Madama DoRè".
"Seppia" è la canzone più lunga del disco ed è divisa in tre parti:
"Sottotitolo" presenta un intreccio misto tra Tangerine Dream e
Goblin (forse un po' anche precursore e
oserei Jean-Michel Jarre); "Frescofresco" è basata su rumori ed effetti
marcatamente Gongiani ed imprevedibili
stacchi di xilofoni, anche se il risultato finale ricorda forse un po'
troppo "Master Builder" di You; il canto del gallo introduce la parte
più sperimentale e riuscita del disco, "Rusf" seguita da "Napier"
(la mia preferita dell' LP). Da segnalare inoltre "La floricultura
di Tschincinnata", la traccia più vicina ai Perigeo
insieme a "La Bolla", con un interessantissimo inseguimento vocale
e un bellissimo passaggio altamente entropico nella seconda parte,
con multiple sovraincisioni di tutti gli strumenti, batteria inclusa.
Il disco si chiude con "Off", il momento più sinfonico, che presenta una deliziosa
linea di pianoforte arricchita da pregevoli abbellimenti di flauto.
Il gruppo per rimanere forzatamente nell'ambito della ricerca ha fatto
una scelta abbastanza discutibile: una linea compositiva di tale bellezza
meritava, secondo me, un testo invece del continuato e agonizzante
UA UA UA.Il risultato è comunque buono.  
Oltre a questo primo omonimo "Picchio dal pozzo", il gruppo presenterà
nel 1980 "Abbiamo tutti i suoi problemi" e successivamente sparirà dalla
scena, lasciando solamente alcune toccate solistiche a qualche componente
come Aldo De Scalzi.  
Concludendo, il segreto della riuscita del disco sono le buone
idee di base e di sviluppo, e la mancanza di eccessivi effetti
speciali. Vista la chiara e marcata matrice sperimentale,
lo consiglio sia agli amanti del genere sia a chi vuole sconfinare
da altri lidi e muovere qui i primi passi, come, ad esempio, agli
amanti del progressive sinfonico.  
Consigliato. |
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