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Per i soliti difficili, o testardi e convinti pro-anglosassoni "perché LORO lo
fanno meglio" e per qualsiasi altra persona affetta da qualche forma di
pregiudizio verso gli italiani come musicisti stereotipati e privi di fantasia ed idee,
non si può porre miglior rimedio al loro malanno ideologico se non nel proporre
un sano ascolto di un disco che a mio parere non ha eguali in fatto di originalità
in un contesto addirittura mondiale: Pholas Dactylus, Concerto delle Menti.  
Chi si avvicina senza conoscerne il contenuto deve porre
molta attenzione in quanto il titolo è già un monito
ed una guida per sottolineare il campo d'azione del
lavoro: la mente. E così solo chi avrà la mente sgombera
riuscirà (e anche a fatica) a capire questo lavoro davvero
impegnativo ma d'altra parte tanto originale ed entusiasmante.
E le prime note fuori dallo standard arrivano da uno
dei punti cruciali del disco: il componente dotato di
microfono (...) non canta ma declama, istiga e, con
fare altamente teatrale, persevera nei suoi discorsi
deliranti, dove ogni parola è pesata e non messa a caso,
in un conteso pazzoide e surreale. Si arriva perfino
ad attaccare l'ascoltatore ("...trovai un bimbo di pietra
con un braccio spezzato. E GLIELO AVETE SPEZZATO VOI!")
o ancora a spingersi nei discorsi più disparati: da
un reversione biblica ("La fama di Caino... con l'ultimo
giorno"), all'eversione e terrore apocalittico ("Gli
imbecilli ci stanno guardando... ammasso di fuoco")
fino alla mitologia orgiastica (i seguaci di Baal);
e ancora una toccata politica ("quante vite tagliate
di netto... comperando cervelli degli altri"), e stoccate
ecologistice ("In questo mare c'è l'odore della nafta...
"), il tutto senza un apparente filo logico o storico
ma che porta a risultati sconvolgentemente chiari, in
grado di risolvere e rispondere con sicurezza a misteri
e domande ("Non siamo soli nell'universo.").
 
Per quel che riguarda l'aspetto musicale,
il gruppo propone un tessuto di primo ordine basato sia sull'ottimo lavoro dei due
tastieristi, sia sulle parti di chitarra, spaziando in diversi
generi e stili. Troviamo elementi tipicamente progressivi, accenti free jazz,
improvvisazioni basate su rumori ma anche qualche toccata classica con temi sinfonici.
Ciò che penalizza maggiormente il gruppo è la stessa caratteristica per cui merita
l'attenzione, essendo la mente rapita dalla teatralità della voce di Carelli.
Nella seconda parte, leggermente più strumentale, si può maggiormente assaporare
l'abilità tecnica del gruppo, che, in fin dei conti, soffre solamente in alcuni cambi
di tema.  
Il disco è difficile e non c'è dubbio. Forse per questo deve meritare più attenzione
di qualche altro lavoro. Una volta sintonizzati sulla lunghezza d'onda dei Pholas
Dactylus però, si riesce a capire che nonostante le toccate pessimistiche e
tragiche ("Una morte che non è morte, perché non c'è mai stata vita"),
tutto quello che ci sta attorno può essere visto in maniera diversa e
senza preclusioni di sorta, come percorsi differenti per ogni viaggiatore
su di uno stesso tram come detto nell'introduzione, fino a che "nuove vite, nuovi corpi,
nuove menti riempiranno la nuova terra". Consigliato.
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