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Commento
di Luca Martini
E’ davvero incredibile. Scopro (si, non lo conoscevo
affatto, lo ammetto…) questo piccolo capolavoro misconosciuto,
“Four moments” , realizzato da un oscuro complesso australiano,
primo esempio di rock progressive sinfonico del luogo,
e ne rimango davvero affascinato.
L’ascolto è talmente gradevole ed intenso che scorre
come un fiume su dolci declivi, tra ricordi (molto forti)
dei Genesis
(si ascolti il quarto momento, Everything is real, come
riecheggia “The cinema show” dei Genesis…) e dei migliori
Yes (quelli
di “Close to the edge”, per intenderci…), con sonorità
dolci e potenti al contempo, epiche e di grandissimo
respiro, chitarre elettriche tirate e magniloquenti,
ritmiche serrate e precise, tastiere incalzanti e colme
di suggestione, il tutto per meno di quaranta minuti
davvero memorabili.
La suite che dà il nome all’album (i primi quattro momenti
del disco), è realmente incantevole, con cambi di ritmo
suggestivi e forsennati (il terzo momento è l’apice
compositivo ed esecutivo…..), che permettono ai componenti
del gruppo di mettere in mostra le loro capacità individuali
e, soprattutto, di grande collettivo (si ascolti il
primo brano, Four moments, perfetto con pochissime sbavature).
Calo di tensione (e di qualità compositiva) nel quinto
brano, Rosanna, un pezzo strumentale molto dolce e melodico,
in cui Mario Millo pare riecheggiare un po’ troppo ruffianamente
il più strappalacrime Santana di “Europa”, seppure con
un suono suadente, personale ed emotivamente toccante.
Chiude il lavoro l’incredibile, bellissimo brano esclusivamente
strumentale “Openings”, che in oltre 13 minuti ci riporta
alla luce echi di Pink Floyd,
Genesis e vette progressive raramente raggiunte da musicisti
molto più blasonati e celebri, con una pasta organica
tra i componenti affiatata e salda (gli ultimi due minuti
sono di una intensità incredibile). Se proprio dobbiamo
trovare un limite a questo disco è quello di essere
successivo ai capolavori dei gruppi già citati, che
non gli permette di essere totalmente originale (diversamente,
Sebastian Hardie sarebbero oggi ricordati come pietra
miliare del rock progressive….), ma al cospetto di musica
di cotanta qualità, davvero poco importa e si può perdonare
una lieve carenza di stile unico, a scapito di emozioni
inaspettate.
Davvero un piccolo, grande capolavoro per questo complesso
australiano, guidato da un ottimo cantante-chitarrista,
Mario Millo, autore anche di buona parte dei testi.
Una vera sorpresa, un disco da possedere ed ascoltare
fino alla consumazione. |
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