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Commento
di Nicola Wiri
In generale, riguardo le suites, quello che credo io
è che finquando la musica è gradita all'ascoltatore
e non è ripetitivo né l'agglomerato strumentale né ogni
singolo strumento, allora il brano può anche durare
più del solito - per quanto mi riguarda "Supper's
ready" sarebbe potuta continuare senza problemi
-. Ed è questo che ci fanno capire i Floating State
che, in un certo senso, non si son voluti forzare nel
proporre suites, ma l'hanno fatto con naturalezza, finché
musica e testi potevano permettere; ed il risultato
sono due lunghi brani in cui è difficile stancarsi per
le continue e silenziose variazioni e per il tempo che,
più che cambiare, si trasforma e tutto scorre senza
fretta.
Pochissimo e forse niente assapora di "già sentito"
e questo perché, nel momento in cui si possiede un personalissimo
stile e grande tecnica, la musica immediatamente diviene
più curiosa e piacevole e non si fa nessun caso alla
durata. Ecco come diventa ascoltabile una canzone di
44 minuti e si rendono interessanti e profondi i tre
semplici e brevi brani che fungono da introduzione,
intermezzo e finale del disco. Grazie ad eccezionali
sassofoni e chitarre spesso dal sapore medievale, canto
particolare per il genere e in inglese, pianoforte di
stampo classico (bellissime le parti in "White flower"
ed in "Fairies' inn") anche se le tastiere alle volte
hanno un suono un po' sintetico, e l'immancabile collaborazione
ritmica tra cui soprattutto lo stile della percussionista,
ci è semplice ascoltare e riascoltare questo disco dall'inizio
alla fine.
Frase riassuntiva: i
Floating State non riprendono nulla dal passato e, nello
stesso tempo, non ce lo fanno rimpiangere. |
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