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Commento
di Gioser345
Gli Emerson, Lake e Palmer si formano nel 1969 ad opera
di Keith Emerson e Greg Lake. I due provenivano entrambi
da importanti esperienze: Emerson fu fondatore, tastierista
e leader dei Nice, gruppo che fra i primi tentò
la fusione fra classica e rock, Lake fu invece bassista
e cantante dei King Crimson nell’epocale “In
the Court of the Crimson King”, e solo parzialmente
nell’album successivo “In Wake of Poseidon”.
Ad essi, dopo numerosi provini che coinvolsero molti
possibili candidati, fu affiancato Carl Palmer, già
batterista di Arthur Brown ed Atomic Rooster.
Nell’assetto e negli intendimenti gli E,L &
P rappresentarono la continuazione ideale dei Nice,
riproponendone le soluzioni formali e stilistiche basate
sulla commistione sinfonica fra prosaicità rock
e nobiltà classica, il tutto condito da sorprendenti
effetti speciali e pirotecniche dissertazioni strumentali
con cui Emerson farciva ogni composizione tramutandola
in vetrina della sua narcisistica e straordinaria abilità
tecnica.
Le analogie fra Nice e E,L & P si ripercuotevano
sia nelle modalità compositive, sia nelle prerogative
strumentali. Sostanzialmente Lake e Palmer, benché
tecnicamente molto più bravi, si limitarono a
sostituire i loro predecessori Lee Jackson e Brian Davison,
anch’essi rispettivamente basso e batteria. E
così come per i Nice le composizioni degli E,L
& P erano sorrette dal lavoro oscuro di basso e
batteria su cui poi ricamava la sagacia tecnica di Emerson
con tastiere, organi, moog, hammond, sintetizzatori
e pianoforti.
Gli E,L & P esordirono per la prima volta al festival
dell’isola di Wight nel 1970, interpretando una
versione riarrangiata in chiave moderna dell’opera
“Quadri ad una Mostra” del compositore russo
Mussorgsky. Il successo fu immediato e catapultò
il gruppo immediatamente nelle prime posizioni di classifica.
La popolarità crebbe esponenzialmente negli anni
fino a rendere gli E,L & P la super band più
famosa di ogni epoca, ma soprattutto uno dei fenomeni
commerciali più travolgenti di sempre.
Nonostante l’enorme successo almeno i primi cinque
album del gruppo si mantennero comunque su buoni livelli
qualitativi, pur senza mai però sfiorare eccelsi
vertici creativi.
Nel riproporre il cliché già collaudato
dai Nice la nuova compagine si attenne sempre e assiduamente
a consolidati e saldi stilemi invariabilmente rielaborati
dalla fantasia e dalla pervicacia strumentale di Emerson,
vero e proprio despota del suono nel gruppo. In ogni
album inizialmente tali architetture sinfoniche, sorrette
e dominate dall’artificio artistico delle tastiere,
si attestano nella forma di ricercate rivisitazioni
barocche del rock, ma a lungo andare si smarrirono in
sterili e vuoti arzigogoli di estetismo gratuito e kitsch,
esagerati sotto ogni punto di vista dal protagonismo
di Emerson a volte ripetitivo, se non addirittura banale.
Il primo album, l’omonimo “Emerson, Lake
& Palmer”, è summa dell’Emerson
pensiero e prototipo di ogni successiva opera della
band: magniloquente, dominato da Emerson, piacevole
ed orecchiabile, dalle atmosfere oscure e fosche, sofisticato
ma talvolta eccessivo e stucchevole, sorretto da alcune
canzoni di sicuro successo e costellato da momenti di
elevata musica alternati a sezioni sature o troppo leziose.
Forse proprio questo primo album, un vero e proprio
must nella storia della musica, è il più
riuscito fra i lavori della band, benché non
svetti qualitativamente rispetto ai successivi, essendo
anch’essi album di buona caratura, e faccia uso
più morigerato delle tastiere a favore del tradizionale
pianoforte.
L’introduzione all’album è subito
dirompente con “The Barbarian”, composizione
classica di Bela Bartok riadattata magistralmente dalla
band. La canzone, prettamente strumentale, è
innescata da Lake che da vita ad un esaltante ed aspro
alterco strumentale con Emerson mentre Palmer si disimpegna
con la solita bravura. La parte centrale è invece
monopolizzata da un cauto assolo al pianoforte che si
esaurisce poi per ritornare all’iroso tema iniziale
scandito da Lake e Emerson.
Segue “Take a Pebble”, primo brano originale
composta dal trio. Esso si distende per dodici minuti
e mezzo in cui un grande Emerson orna un suggestivo
e lieve intreccio al pianoforte per poi lasciare spazio
alla chitarra acustica di Lake, minimalista nella prima
parte, gioconda nella seconda. Ma è solo un preludio
al lungo, e forse eccessivo, spazio dedicato al pianoforte
di Emerson che traccia un lungo itinerario di abilità
tecnica sfumato sul finire nel refrain iniziale enfatizzato
soprattutto dalla batteria di Palmer.
Il terzo brano è un altro tema classico, questa
volta di Janacek, riadattato dalla band. Ne scaturisce
una bella canzone, forse la migliore dopo “The
Barbarian”, ottimamente sostenuta dagli stacchi
e dalle ripartente strumentali a sostegno della melodica
voce di Lake.
The “Three Fates” è invece una lunga
composizione di impostazione classica divisa in tre
parti (“Clotho”, “Lachesis”
e “Atropos”) intitolate alle tre parche,
o moire, esecutrici del fato nella mitologia greca (Cloto
fila, Lachesi misura e Atropo taglia). In essa si disimpegna
il solo Emerson in lunghe e solistiche partiture, armeggiando
prima con l’organo, poi con il pianoforte ed infine
con il piano triplo.
“Tank” è invece una canzone ben strutturata
ed ideata per esaltare le notevoli capacità di
Palmer alla batteria sul modello di “Toad”
dei Cream, “In A Gadda da Vida” degli Iron
Butterfly e “Moby Dick” dei Led Zeppelin,
benché di minore effetto con la tastiera in sostituzione
della chitarra.
L’ultimo brano, “Lucky Man”, è
al contrario un’armoniosa e delicata composizione
acustica, condotta dalla chitarra di Lake ed edulcorata
dalla ostentata invadenza di Emerson.
Album notevole e fondamentale per il progressive, voto:8
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