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   Il Volo
 
 
 

Il presente commento (scritto di mio pugno) è apparso su:
Contrappunti: Quaderno trimestrale del Centro Studi per il Progressive Italiano - Anno IV numero 3 - Settembre 2007.
 
Per info: www.centrostudiprogitaliano.it
 

 
Uno dei rari esempi di supergruppo visti sul panorama musicale di casa nostra nel periodo del fenomeno progressivo e spesso snobbato ingiustamente dalla critica, "Il Volo" rappresenta una interessantissima realtà costruita con alcuni dei più validi elementi della scuderia "Numero 1" fondata dall'indimenticato Lucio Battisti e che va raggruppato nei progetti a breve vita visti i soli due dischi prodotti. La formazione è una delle più ricche e complete con doppie chitarre (Alberto Radius e Mario Lavezzi), doppie tastiere (Vince Tempera e Gabriele Lorenzi), basso (Bob Callero) e batteria (Gianni Dall'Aglio).
 
Apparso sul mercato in un periodo in cui il progressive era all'inizio della fase calante, al gruppo va dato il merito di essere riuscito a lasciare una impronta di notevole spessore ed importanza legata soprattutto ad una freschezza musicale basata su un fronte di impatto di insieme e privo di ogni fronzolo e virtuosismo.
 
L'uscita del primo lavoro, datato 1974 e, come da tradizione, intitolato semplicemente "Il Volo", delinea in maniera chiara il raggio d'azione del gruppo anche se buona parte del materiale risulta con taglio nettamente cantautorale e leggero. Sono comunque presenti ottimi spunti e chiari segni di una identità stilistica in bilico tra jazz, fusion e rock progressivo di ottima fattura. Assolutamente da citare Come una zanzara, La mia rivoluzione e La canzone del nostro tempo.
 
Il capolavoro arriva però con il secondo Essere o non essere? Essere, essere, essere! del 1975 dove, abbandonata la vena leggermente pop, il gruppo riesce a mantenere in maniera continuativa gli stardard che si erano rivelati i picchi del lavoro d'esordio confermando la formula vincente della semplicità dei contesti. Non siamo di fronte ad un disco lineare e melodico sia chiaro: la sezione ritmica guidata da uno scatenato Gianni Dall'Aglio riesce a disegnare scenari pieni di variazioni di tempo e ritmi serrati; la chiave vincente sta nella ricerca di un risultato di insieme che dimostra inutile ogni virtuosismo fine a se stesso. Altra differenza rispetto a Il Volo è che il disco è preponderantemente strumentale ad eccezione dell'unica Essere cantata da Mario Lavezzi con testo di Mogol. Qui la voce ha uno sbilanciamento di volume tale da rendere difficile la comprensione del testo, quasi a rinnegare la caratteristica pop del precente lavoro. Altre canzoni proposte presentano vocalità sospirate, a volte arrivano fino ad intervalli corali, che arricchiscono le scene create dal sapiente intreccio di Eminent, Solina, Fender Rhodes (Gente in amore e Medio Oriente 249.000 Tutto Compreso / Canto di Lavoro ) senza dimenticare le chitarre taglienti di Alberto Radius. Massiccia anche la parte lasciata all'improvisazione e allo spazio dei singoli di Alcune scene e Svegliandomi con te alle sei del mattino con l'ottima chiusura in crescendo.
 
Il segreto e il valore del materiale proposto è, secondo me, legato ad un fattore di sinergia instaurato in maniera chiara tra i componenti; questo reca stabilità ed equilibrio e inoltre garantisce ad un disco formalmente semplice di essere interessante ed particolarmente scorrevole ancora dopo anni. Sono anche convinto che la fucina di Battisti sia stata una piccola alcova in cui si studiarono anche situazioni ben lontane dalle canzonette da classifica. La stessa produzione finale del cantautore ne è testimonianza. Ricordo inoltre che il gruppo è ben presente nelle registrazioni di Lucio: ad esempio nel disco Anima Latina oppure in Io ti venderei da Lucio Battisti, la batteria, il contabbasso, eccetera del 1976.
 
Incontrai Dall'Aglio un paio di anni fa ad un seminario di batteria; gli chiesi qualche ricordo di quest'esperienza e lui fu molto sorpreso e colpito dal mio interesse. Scherzando poi domandai se all'orizzonte c'era la remota possibilità per un terzo lavoro viste le numerose reunion ma la risposta fu alquanto chiara e senza speranza. Magari alla fine è meglio così: si potrebbe rischiare di non riuscire più a ricreare quell'atmosfera caratteristica che domina la scena e che dà valore al tutto. Un po' come è successo per alcuni dei gruppi tornati oggi all'appuntamento discografico dopo anni; una prova che in molti casi fa finire l'ago della bilancia non sul "bello" o sul "brutto" ma sul più disonorevole "disco inutile". In conclusione, Essere o non essere è uno dei migliori dischi della scuola italiana; un lavoro da avere ben fisso nella propria collezione.

 
     
 
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