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   Gong - Roma 2009
 
 
 

Commento di Lucio "Walter-A"
Un concerto dei Gong è fuori dal tempo, dallo spazio, dal periodo sociale e politico.
Un concerto dei Gong è uno stato mentale, non è un momento per riflessioni moderate, ponderate, critiche, ricercate.
Un concerto dei Gong è uno slancio di fantasia, un momento in cui si abbandona il vissuto tecnocratico moderno e ci si abbandona ad un volo di tesissima propulsione verso melodie oblique, asimmetriche, destabilizzanti delle certezze del sotto e del sopra, del bianco e del nero, di noi stessi e di chi ciondola immerso nelle melodie intorno a noi.
Un concerto dei Gong si ascolta e si osserva con il cuore di bambino meravigliato e basito dall'immensità dello spazio profondo, disegnato nei fumetti, scritto nelle storie di fantascienza.
Una fantascienza molto retrò quella che viene suonata nel concerto dei Gong a Villa Ada, è vero, ma conserva e anzi rilancia il bisogno di fantasia, il bisogno di un immaginario sincero, forse ingenuo da bimbo, ma più forte di qualsiasi cinica realtà che ci viene fatta ingurgitare tutti i giorni da un mondo non particolarmente adatto alle favole.
Quindi sorridete divertiti con cuor leggero (ma non troppo) quando vi racconto che David Allen (voce e chitarra del gruppo) sale sul palco sin dalla prima nota con i suoi buffi costumi da abitante ascetico di un altro pianeta.
Un cappello blu con tanto di brillantini che riflettono le luci del palco, gli calza la testa lasciando lunghi ciuffi dei suoi lunghi capelli bianchi fuoriuscire da sotto i copri orecchie.
Una lunga palandrana porporata, azzurra lo avvolgono nei suoi 71 anni (si avete capito bene 71!) portati meravigliosamente.
Gorgheggia e vocalizza splendidamente (forse un poco affaticato questo si), canta narrando storie con l'abilità di un menestrello "spaziale", che non si addice ad un qualsiasi nonno di settant'anni, né di questo né di un altro pianeta.
Anche con la chitarra in mano (credo fosse una Yamaha senza paletta) dimostra tutt'altro che un indole rassegnata alla senilità, dirige e controlla gli stacchi di basso batteria e sassofono, arpeggia in modo pulitissimo quando canta, sebbene non si stia parlando di semplici giri di Do o Re maggiore da musichetta leggera italiana terrestre.
Giocando con i pedali delay (di cui la loro esibizione è stata zeppa) e una invidiabile tecnica dello slide disegna insieme a Steve Hillage (solista della formazione), paesaggi "sonici", "psichedelici" quasi "noise" dai colori sferzanti e tra loro armonici al tempo stesso, che non si fa fatica a ricollegare con la memoria ai Pink Floyd della gestione Barrett (ma ad essere precisi in questo concerto più vicini ai Floyd di Waters).
A tratti Allen è quasi violinista, quando a ululare nello spazio profondo è il sassofonista "capitano di rotta" Theo Travis che in dono ai terrestri porta un momento solista a metà concerto di rara ed intensa bellezza. Ma in realtà non si risparmia in nessuno momento, su nessuna battuta, sempre attento e preciso quasi a calcolare una traiettoria perfetta dell'astronave Gong, con tanto giochi barocchi e di cambi di tempo (se di tempo nel blu spaziale si può parlare), che arrivano al Folk e in alcune battute si spingono nei territori difficili e desertici della "musica classica Gershwiniana".
 
E come in ogni astronave che si rispetti, ci sono degli ufficiali della sala motori a coordinare la propulsione verso il profondo ignoto dell'ufo Gong; è qui che troviamo Dave Sturt al basso e Chris Taylor alla batteria che dirigono perfettamente la sessione ritmica come fossero un solo strumento. I due assieme sono precisissimi a scandire e scambiare i troppo noiosi quattro quarti virando verso ritmiche che preparano più complesse modulazioni, dove, sovente il Capitano Daevid Allen gorgheggia improvvisando persino dello Scat.
Non solo precisione, ma anche volume e potenza sonora mai inopportuna, con i loro crescendo che fanno ricordare a tutti i presenti che i Gong navigano da molto tempo e non sono un'astronave troppo vecchia "to weaving the deep darkness".
 
In tutto questo troviamo uno Steve Hillage (seconda chitarra e solista) anche lui sempre in battuta, mai fuori luogo con i suoi sibilanti soli (pochi a dir la verità) color metallo, che illuminano la via dell'astronave e penetrano le menti degli spettatori, oramai gravitanti anche loro nell'orbita del pianeta Gong.
Hillage non sarà sicuramente il miglior chitarrista del suo periodo ma ha dalla sua una capacità di concepire dei lick e dei riff molto interessanti che ci portano nei settanta, sulla terra, quando i ragazzini imparavano a suonare da extraterrestri non sconosciuti come Jimi Hendrix, Jeff Beck, Eric Clapton, Jimmy Page, etc… Forse troppo vicini al blues, è vero, ma in questo caso importanti insegnamenti per non cadere nel tranello di temi musicali troppo eterei ed effimeri.
Quindi via con qualche scala pentatonica senza troppe complicazioni compositive, visto anche la tenuta a tratti folk e rock'n'roll da ballo che assume spesso l'equipaggio tutto.
 
Una menzione speciale per la principessa degli spazi Miquette Giraudy che alle macchine elettroniche sintetizzate colora come non mai gli spazi lasciati incostuditi dagli altri strumenti e crea "armonie" in cui Gilli Smith (voce e "space whisper") declama le declinazioni dell' "armonia universale" della famiglia Gong.
Ma la Signora Smith, non fa solo questo.
Sussurra affascinante richiami dal pianeta madre che innondano avvolgenti gli spettatori di antica grazia e melodiosità.
Anche lei abbigliata e sorridente come una vera "Regina Gonghiana" con tanto di copricapo e matella, che ricorda quello delle sovrane dell'antico Egitto si adopera con qualche vocalizzo (purtroppo un po' appesantito dagli anni nel suo caso) per la causa melodica del gruppo.
Ad un cenno della Regina si muovono le luci (come molti purtroppo non hanno notato ahime!) ad un suo gesto colmo di benevola grazia si muove la luna.
E' una presenza importante anche per i ricordi che scatena nel pubblico, non è lì solo per "esigenze di copione", i Gong sono una famiglia come ricorda Steve Hillage in una intervista passata su Radio popolare Roma prima del concerto, e ovviamente come può non esserci una mamma o nonna in una brava famiglia psichedelica spaziale?
 
Ma come tutti i viaggi interstellari anche questo ha fine. E dopo due bis assolutamente meritati, l'equipaggio ritorna sulla nave verso altri lidi stellari, verso altri tempi e periodi storici aspettando "2032", il nuovo disco prossimo all'uscita che ci racconterà, forse, un futuro fatto di quell'armonia che noi terrestri da millenni attendiamo e che ci svelerà forse perché vogliono prendere contatto proprio con noi tra tanti esseri abitanti dello spazio, questi strani e multicolori esseri.

 
     
 
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